Dopo aver mandato un diluvio atto a distruggere l'umanità, Zeus si guardò bene dal ripetere un simile gesto nonostante Deucalione, figlio di Prometeo, istruito dal padre, riuscì a salvare parte dei mortali.
Egli infatti dopo di ciò continuò ad unirsi con numerose donne, divine e mortali, tanto che da una di queste, Pluto, ebbe un figlio che inizialmente, nonostante mezzo uomo, mezzo dio, fu molto amato sia da lui che dalle altre divinità, le quali gli permisero di vivere in mezzo a loro per diverso tempo: Tantalo.
Nonostante potesse mangiare alla mensa degli Dei, Tantalo però commise diversi peccati, in particolare rivolti alla Xenia, la legge dell'ospitalità. Egli infatti si macchiò del ratto di Ganimede, rubò Nettare ed Ambrosia, fonte dell'immortalità divina, nonché il furto del Cane d'Oro sacro a Zeus.
Per simili atti, egli giunse così in disgrazia e fu punito dagli Dei che lo umiliarono cacciandolo. Ciò però fece crescere in Tantalo un grande raccapriccio e volontà di vendetta, tanto che si dice uccise diversi giovani, li smembrò e, dopo aver cotto le loro carni, ne diede da mangiare agli stessi Dei. Accortosi in tempo del misfatto, Zeus lo fulminò uccidendolo e spendendo il suo spirito nel luogo più angusto dell'Ade.
Prima di morire però, Tantalo aveva dato alla luce con sua moglie Dione il grande Pelope, guerriero leggendario che conquistò gran parte della Grecia, tanto che il Peloponneso è un termine che nacque proprio dal suo nome. Questi s'innamorò di Ippodamia, figlia del re di Pisa, figlio di Ares, Enomao, che non voleva dare in sposa la figlia a causa di una profezia che lo vedeva morto a causa del suo genero. Con un inganno però, Pelope vinse la gare contro il velocissimo Enomao, il quale morì nell'impatto col terreno cadendo dalla biga, vincendo la mano di Ippodamia.
Dalla loro unione nacquero diversi figli, ma il più importante fu Atreo, assassino di suo fratello Crisippo insieme all'altro fratello Tieste, rifugiatosi a Micene.
Micene era una città fondata da Miceneo e fortificata da Perseo, tenuta sotto comando dai Danaidi i quali però furono sterminati dagli Eraclidi (figli di Eracle), cosa che permise ad Atreo di diventare nuovo re di Micene e fondatore della stirpe degli Atreidi.
I primi figli di Atreo furono i famosissimi Agamennone e Menelao. Il secondo sposò la figlia di Tindaro, re di Sparta, divenendo re della città dopo la morte del suocero. Il primo invece uccise il re di Pisa, sposando la vedova Clitennestra e dando inizio al suo impero Miceneo, conquistando numerosi regni e generando così l'impero dei molti re, al quale giurarono fedeltà personalità come Ulisse.
Fu a causa del ratto di Elena, moglie di Menelao, che Agamennone ebbe la possibilità di dichiarare guerra a Troia, sede del principe Paride, rapitore ed amante della moglie del fratello.
martedì 5 agosto 2014
Guardati dagli Uomini - Cosmogonia Parte VIII
Al sicuro sul suo trono posto al di sopra dell'Olimpo, dopo aver generato un gran numero di figli e conquistato i cuori di infinite amanti, Zeus perse il proprio timore di essere un giorno spodestato come invece era accaduto a suo padre per sua stessa mano ed al padre di suo padre.
Tra gli immortali non vi era infatti nessuno in grado di reggere il confronto con lui in uno scontro alla pari, ma ciò non significava che un certo malcontento stesse già serpeggiando nello spirito dei suoi simili.
Il seme dell'odio nacque nel fratello maggiore di Zeus, Poseidon, il quale da tempo si era accorto di essere stato ingannato, così questi convinse Hera, Athena ed Apollo a cospirare contro il padre degli Dei, ma Zeus scoprì tutto, punendo severamente i cospiratori. I suoi guai, comunque, non erano ancora finiti.
Al di sotto dell'Olimpo e nel resto del mondo si era infatti propagata una specie di esseri, generati inconsapevolmente dalla stessa Gea (sebbene vi siano molti dubbi su ciò), i quali vivevano esattamente come gli altri animali, sebbene avessero delle fattezze molto simili a quelle delle Divinità. Esseri innocui, privi di una vera e propria coscienza, cosa che però non fermò Zeus dal temere che tra loro vi fosse un possibile rivoluzionario, colui che avrebbe potuto spodestarlo un giorno, in quanto prole della Madre Terra. Non solo, pareva infatti che il profetico Prometeo, il quale aveva combattuto al fianco di Zeus nella Titanomachia, avesse avuto la visione che diceva appunto come un giorno, da un ventre umano, sarebbe nato il giustiziere di Zeus.
Non riuscendo a cogliere il nome dell'usurpatore dall'alleato, Zeus cominciò allora ad odiare gli uomini e non permise loro di avere il fuoco, simbolo della scintilla della conoscenza e della saggezza. Prometeo però, che provava immensa pietà per quei piccoli esserini, penetrò nell'Olimpo grazie ad Athena e da lì rubò il lume della ragione, donandolo così all'umanità. Quando Zeus venne a conoscenza di ciò, decise di distruggere il genere umano, ma desistì a causa delle proteste dei suoi simili. Però, decidendo di farla pagare comunque sia a Prometeo che agli uomini, ordinò ad Efesto di creare una donna bellissima, dotata di tutti i doni delle Dee, come dono per l'umanità. In realtà, Zeus diede a Pandora, così si chiamava tal essere, un'ennesima caratteristica: la curiosità. Affidatole il famosissimo vaso, le ordinò furbescamente di non aprirlo, nonostante sapesse che un giorno sarebbe andato contro il suo ordine. Quando ciò avvenne, dal vaso fuoriuscirono tutti i mali del mondo: Morte, Vecchiaia, Malattia, Astio e Guerra. In fondo al vaso vi era però una cosa molto importante ed altrettanto potente, della quale Zeus non era a conoscenza: la Speranza.
Dal canto suo, Prometeo, fratello di Epimeteo al quale era stata donata Pandora, avvertì il suo parente di non accettare doni da Zeus, così quest'ultimo punì il vecchio alleato incatenandolo ad una colonna, con un rapace che gli mangiava il fegato ogni giorno, ricrescendo poi durante la notte. Zeus infatti voleva solo una cosa da Prometeo: il nome della donna dalla quale sarebbe nato il suo usurpatore, ma Prometeo resistette.
Gea, in lacrime per il destino del coraggioso Prometeo, andò da Zeus e domandò lui di liberarlo, promettendogli che se lo avrebbe fatto Prometeo avrebbe infine rivelato il tanto desiderato nome. Zeus cedette e Prometeo fu liberato. Come promesso, il titano acconenstì a rivelare il suo segreto, ma lo fece anche perché, prevedendo il futuro, sapeva che, in qualsiasi caso, Zeus, un giorno o l'altro, sarebbe stato comunque sconfitto. Il nome della donna venne allora enunciato dalle sue labbra: Teti, una delle Nereidi.
Per fare in modo che tale donna non potesse generare un essere pari a lui, Zeus la costrinse a sposare un mortale, ovvero Peleo, dalla cui unione nacque uno dei più grandi eroi dell'era antica: Achille.
Come sappiamo, Achille non sfidò mai Zeus e morì a Troia, ucciso dalle freccie di Paride, ma alcuni sostennero più tardi che il suo ricordo e le sue gesta furono così grandi che persino un Dio come Zeus, un giorno, si sarebbe visto oscurare dalla sua luce, portando l'umanità a non adorare più le divinità, ma gli eroi, dando inizio al Crepuscolo degli Dei.
Tra gli immortali non vi era infatti nessuno in grado di reggere il confronto con lui in uno scontro alla pari, ma ciò non significava che un certo malcontento stesse già serpeggiando nello spirito dei suoi simili.
Il seme dell'odio nacque nel fratello maggiore di Zeus, Poseidon, il quale da tempo si era accorto di essere stato ingannato, così questi convinse Hera, Athena ed Apollo a cospirare contro il padre degli Dei, ma Zeus scoprì tutto, punendo severamente i cospiratori. I suoi guai, comunque, non erano ancora finiti.
Al di sotto dell'Olimpo e nel resto del mondo si era infatti propagata una specie di esseri, generati inconsapevolmente dalla stessa Gea (sebbene vi siano molti dubbi su ciò), i quali vivevano esattamente come gli altri animali, sebbene avessero delle fattezze molto simili a quelle delle Divinità. Esseri innocui, privi di una vera e propria coscienza, cosa che però non fermò Zeus dal temere che tra loro vi fosse un possibile rivoluzionario, colui che avrebbe potuto spodestarlo un giorno, in quanto prole della Madre Terra. Non solo, pareva infatti che il profetico Prometeo, il quale aveva combattuto al fianco di Zeus nella Titanomachia, avesse avuto la visione che diceva appunto come un giorno, da un ventre umano, sarebbe nato il giustiziere di Zeus.
Non riuscendo a cogliere il nome dell'usurpatore dall'alleato, Zeus cominciò allora ad odiare gli uomini e non permise loro di avere il fuoco, simbolo della scintilla della conoscenza e della saggezza. Prometeo però, che provava immensa pietà per quei piccoli esserini, penetrò nell'Olimpo grazie ad Athena e da lì rubò il lume della ragione, donandolo così all'umanità. Quando Zeus venne a conoscenza di ciò, decise di distruggere il genere umano, ma desistì a causa delle proteste dei suoi simili. Però, decidendo di farla pagare comunque sia a Prometeo che agli uomini, ordinò ad Efesto di creare una donna bellissima, dotata di tutti i doni delle Dee, come dono per l'umanità. In realtà, Zeus diede a Pandora, così si chiamava tal essere, un'ennesima caratteristica: la curiosità. Affidatole il famosissimo vaso, le ordinò furbescamente di non aprirlo, nonostante sapesse che un giorno sarebbe andato contro il suo ordine. Quando ciò avvenne, dal vaso fuoriuscirono tutti i mali del mondo: Morte, Vecchiaia, Malattia, Astio e Guerra. In fondo al vaso vi era però una cosa molto importante ed altrettanto potente, della quale Zeus non era a conoscenza: la Speranza.
Dal canto suo, Prometeo, fratello di Epimeteo al quale era stata donata Pandora, avvertì il suo parente di non accettare doni da Zeus, così quest'ultimo punì il vecchio alleato incatenandolo ad una colonna, con un rapace che gli mangiava il fegato ogni giorno, ricrescendo poi durante la notte. Zeus infatti voleva solo una cosa da Prometeo: il nome della donna dalla quale sarebbe nato il suo usurpatore, ma Prometeo resistette.
Gea, in lacrime per il destino del coraggioso Prometeo, andò da Zeus e domandò lui di liberarlo, promettendogli che se lo avrebbe fatto Prometeo avrebbe infine rivelato il tanto desiderato nome. Zeus cedette e Prometeo fu liberato. Come promesso, il titano acconenstì a rivelare il suo segreto, ma lo fece anche perché, prevedendo il futuro, sapeva che, in qualsiasi caso, Zeus, un giorno o l'altro, sarebbe stato comunque sconfitto. Il nome della donna venne allora enunciato dalle sue labbra: Teti, una delle Nereidi.
Per fare in modo che tale donna non potesse generare un essere pari a lui, Zeus la costrinse a sposare un mortale, ovvero Peleo, dalla cui unione nacque uno dei più grandi eroi dell'era antica: Achille.
Come sappiamo, Achille non sfidò mai Zeus e morì a Troia, ucciso dalle freccie di Paride, ma alcuni sostennero più tardi che il suo ricordo e le sue gesta furono così grandi che persino un Dio come Zeus, un giorno, si sarebbe visto oscurare dalla sua luce, portando l'umanità a non adorare più le divinità, ma gli eroi, dando inizio al Crepuscolo degli Dei.
Gli Olimpi - Cosmogonia Parte VII
Sconfitto Crono ed i Titani, Zeus non aveva più nemici da affrontare, almeno per il momento, così, come aveva promesso ai suoi alleati, chiamò al proprio scopetto i suoi due fratelli maschi maggiori Hades e Poseidon, con i quali avrebbe tirato a sorte per dividersi i possedimenti del mondo.
Con un astuto stratagmma però, Zeus si prese la parte migliore, ovvero il cielo, lasciando a Poseidon il dominio dei mari, mentre ad Hades quello del sottosuolo, un luogo angusto dove non solo le anime dei trapassati generavano un frastuono insopportabile con i loro lamenti, ma soprattutto dove sostava il Tartaro, prigione dalla quale i Titani insultavano e minacciavano costantemente il loro nuovo signore e guardiano.
Giunse così il tempo di trovarsi una sposa per il nuovo dominatore di Cielo e Terra, ma invece che scegliere la sorella Hera, come molti profani oggi ancora credono, Zeus scelse dapprima Metis, la prudenza, la quale rimase subito incinta del suo primo figlio. Ciò però generò una sorta d'inquietudine in Zeus, il quale sapeva come Moire ed Erinni fossero in attesa di punire anche lui per i suoi tradimenti così, per evitare di fare la fine di suo padre e del padre di suo padre, Crono ed Urano, egli divorò la sua sposa, al fine che non potesse partorire il suo primo erede e possibile usurpatore.
Poco più tardi però, una fortissima emicrania colì la testa del Dio, tanto che fu costretto a rimettere la Dea Athena, già agghindata con elmo e scudo, nonché armata di lancia.
Vedendo la fedeltà di costei, i timori di Zeus così scemarono e decise di prendere in sposa Temi, con la quale generò le Ore, personificazione delle Stagioni e, per alcuni autori più recenti, anche le Moire, ma sappiamo come quest'ultime esistessero già.
Riconosciuto come una divinità particolarmente passionale e solita all'adulterio, Zeus non si fermò e prese in sposa, in successione, prima Mnemosine, ovvero la Memoria, da cui nacquero le Muse, poi Leto, che fu madre di due famosissimi Olimpi, ovvero Apollo, signore delle arti e della profezia, nonché la cacciatrice Artemide, i quali presero il posto di Helios e Selene come signori del Sole e della Luna.
In seguito, fu il turno di Eurinome, madre delle Grazie, e poi di Teti, colei che diede vita al messaggero degli Dei: Hermes.
La passione di Zeus cadde poi su una delle sue sorelle maggiori, la patrone dell'agricoltura e della fertilità dei campi, ovvero Demetra, dalla quale nacque la bellissima Persefone, che in seguito sarebbe divenuta la sposa del signore degli inferi, Hades.
L'ultima sposa ufficiale di Zeus fu infine la famosissima e gelosissima Hera, protettrice del parto e del matrimonio, dal cui ventre nacquero Ares, furente signore della guerra, Ebe, la giovinezza, ed Ilizia, la nascita. Purtroppo per la sua ultima moglie, Zeus non riuscì a frenare il suo spirito adulterino, conquistando amanti su amanti. Hera però non era una divinità semplice ed in lei bruciava la fiamma della vendetta così, per fare uno sgarbo a suo marito, si unì a Crono, il loro vecchio padre esiliato, generando con lui il gigantesco Efesto, maestro della metallurgia ed inventore della fucina.
Nonostante il suo aspetto brutale, Efesto ebbe in moglie l'antica, ma sempre bellissima, Afrodite, al fine che Zeus non s'innamorasse pure di lei.
Nonostante la sua vastissima genia, Zeus non riuscì a riconobbere in nessuno dei suoi figli il suo usurpatore, credendosi così al sicuro nella sua invincibilità. Eppure, Moire ed Erinni non avevano smesso di tendere il destino del nuovo signore degli Dei, tanto che cercarono il nuovo detronizzatore non nella stirpe degli Dei, bensì nel sangue di quei piccoli ed animaleschi esserini chiamati Uomini.
Con un astuto stratagmma però, Zeus si prese la parte migliore, ovvero il cielo, lasciando a Poseidon il dominio dei mari, mentre ad Hades quello del sottosuolo, un luogo angusto dove non solo le anime dei trapassati generavano un frastuono insopportabile con i loro lamenti, ma soprattutto dove sostava il Tartaro, prigione dalla quale i Titani insultavano e minacciavano costantemente il loro nuovo signore e guardiano.
Giunse così il tempo di trovarsi una sposa per il nuovo dominatore di Cielo e Terra, ma invece che scegliere la sorella Hera, come molti profani oggi ancora credono, Zeus scelse dapprima Metis, la prudenza, la quale rimase subito incinta del suo primo figlio. Ciò però generò una sorta d'inquietudine in Zeus, il quale sapeva come Moire ed Erinni fossero in attesa di punire anche lui per i suoi tradimenti così, per evitare di fare la fine di suo padre e del padre di suo padre, Crono ed Urano, egli divorò la sua sposa, al fine che non potesse partorire il suo primo erede e possibile usurpatore.
Poco più tardi però, una fortissima emicrania colì la testa del Dio, tanto che fu costretto a rimettere la Dea Athena, già agghindata con elmo e scudo, nonché armata di lancia.
Vedendo la fedeltà di costei, i timori di Zeus così scemarono e decise di prendere in sposa Temi, con la quale generò le Ore, personificazione delle Stagioni e, per alcuni autori più recenti, anche le Moire, ma sappiamo come quest'ultime esistessero già.
Riconosciuto come una divinità particolarmente passionale e solita all'adulterio, Zeus non si fermò e prese in sposa, in successione, prima Mnemosine, ovvero la Memoria, da cui nacquero le Muse, poi Leto, che fu madre di due famosissimi Olimpi, ovvero Apollo, signore delle arti e della profezia, nonché la cacciatrice Artemide, i quali presero il posto di Helios e Selene come signori del Sole e della Luna.
In seguito, fu il turno di Eurinome, madre delle Grazie, e poi di Teti, colei che diede vita al messaggero degli Dei: Hermes.
La passione di Zeus cadde poi su una delle sue sorelle maggiori, la patrone dell'agricoltura e della fertilità dei campi, ovvero Demetra, dalla quale nacque la bellissima Persefone, che in seguito sarebbe divenuta la sposa del signore degli inferi, Hades.
L'ultima sposa ufficiale di Zeus fu infine la famosissima e gelosissima Hera, protettrice del parto e del matrimonio, dal cui ventre nacquero Ares, furente signore della guerra, Ebe, la giovinezza, ed Ilizia, la nascita. Purtroppo per la sua ultima moglie, Zeus non riuscì a frenare il suo spirito adulterino, conquistando amanti su amanti. Hera però non era una divinità semplice ed in lei bruciava la fiamma della vendetta così, per fare uno sgarbo a suo marito, si unì a Crono, il loro vecchio padre esiliato, generando con lui il gigantesco Efesto, maestro della metallurgia ed inventore della fucina.
Nonostante il suo aspetto brutale, Efesto ebbe in moglie l'antica, ma sempre bellissima, Afrodite, al fine che Zeus non s'innamorasse pure di lei.
Nonostante la sua vastissima genia, Zeus non riuscì a riconobbere in nessuno dei suoi figli il suo usurpatore, credendosi così al sicuro nella sua invincibilità. Eppure, Moire ed Erinni non avevano smesso di tendere il destino del nuovo signore degli Dei, tanto che cercarono il nuovo detronizzatore non nella stirpe degli Dei, bensì nel sangue di quei piccoli ed animaleschi esserini chiamati Uomini.
sabato 2 agosto 2014
Nato nell'odio - Cosmogonia Parte VI
Il riequilibro era una cosa fondamentale per i greci delle origini. Ciò che era sbagliato doveva essere bilanciato dal giusto, il dentro dal fuori, il bianco dal nero e così via. Zeus rappresenta il riequilibrio del gesto efferrato, per quanto motivato di suo padre Crono, il quale non pecca nell'atto di evirare il padre padrone, ma nel fatto di prendere il suo posto di tiranno punendo i suoi figli innocenti di un peccato non commesso, almeno non ancora. C'è infatti un vecchio adagio che esplica come una profezia, se non conosciuta, ha meno probabilità di realizzarsi rispetto a quando invece se ne viene a conoscenza.
L'esempio di Crono calza a pennello in questo caso: egli divora i figli, divenendo la personificazione del tempo tiranno, solamente perché teme che uno di loro lo detronizzi così come gli è stato profetizzato dai genitori. Se invece tale profezia non fosse giunta al suo orecchio, cosa sarebbe accaduto?
Tornando a noi ed al nostro Zeus, vediamo come il Signore del Tuono fu salvato da Rea e da Gea, la quale quest'ultima divenne sua principale precettrice, anche se, ripetiamo, molte sono le tesi su chi accudì il prossimo Padre degli Dei, non meno accreditata quella riguardante la ninfa Amaltea.
L'ambiente nel quale Zeus crebbe è forse quello più pessimo per quanto riguarda l'educazione di un infante. Infatti, a lui mai fu nascosta la verità sul suo passato, descrivendogli come il suo stesso padre fosse un bruto paranoico e nocivo per qualsiasi essere vivente, in particolare i suoi famigliari. Inutile dire che ciò generò in lui una rabbia repressa fin dai suoi primi respiri, il che lo portò, una volta adulto a giurare vendetta, sebbene nè Gea, nè gli altri Titani, Rea compresa, compresero se fosse di natura altruistica o meramente egoistica.
Fiero e prestante, il giovane Zeus lasciò la sua caverna ancora giovane, ma decisamente maturato dalla sua esperienza di rancore ed odio nutrito verso Crono. Egli non attese molto prima di sfidare il suo sesso padre, il quale si fece ingannare dal figlio e dalla zia di questi Temi, la quale gli fornì una piccola dose di veleno o emetico, il che gli fece vomitare tutti i suoi figli, ancora vivi ovviamente perché immortali, nonché la stessa pietra trangugiata con l'inganno, la quale divenne una vera e propria reliquia posta all'interno del Tempio dell'Oracolo di Delfi.
Circondato da figli vendicativi e parenti infuriati nei suoi confronti, Crono poteva praticamente dichiararsi battuto e tanto bastava a Gea ed al suo sposo Urano, già pronti ad incoronare Zeus come nuovo signore degli immortali. Ciò però non bastava allo stesso Dio del Tuono, il quale nella sua mente aveva già ordito un piano che in breve tempo avrebbe inorridito i suoi stessi precettori.
Egli infatti, dopo aver liberato i suoi fratelli, discese nel Tartaro e spezzò le catene degli Ecantochiri, stringendo un patto con il più prominente tra loro, il possente Briareo dalle cinquante teste e cento braccia. Fece altrettanto con i Ciclopi, i quali felici di essere stati liberati dichiararono lealtà a Zeus, donandogli tra l'altro la fulgore ed il tuono loro creazioni.
Zeus dichiarò guerra ai Titani, Gea compresa, la quale però non entrò in battaglia ed anzi diede diversi consigli al nipote per vincere. Dove da una parte vi erano le antiche divinità primordiali, le quali si accamparono sul monte Otri, dall'altra vi erano i figli di Crono, uniti ai Ciclopi, ai Giganti ed agli Ecantochiri, più due titani che avevano deciso diallearsi con Zeus ed i suoi, ovvero Prometeo e suo padre Giapeto, riniti tutti sul monte Olimpo, al tempo una semplice vetta della Tessaglia.
La guerra, la quale in seguito avrebbe preso il nome di Titanomachia, ovvero la sconfitta dei Titani, durò per ben dieci anni. Per tutta la decade però nessuno riuscì mai a primeggiare, tanto che sia Gea, sia Zeus cominciarono a comprendere come tale battaglia non avrebbe mai trovato fine. Fu solo grazie all'intervento di Briareo ed i suoi fratelli, ovvero gli Ecantochiri, che con le loro cento braccia affossarono i Titani di massi e dardi, che la guerra trovò finalmente il suo termine.
Zeus non ebbe pietà per nessuno. Infatti, la sua stessa, forse mai amata, educatrice, Gea, fu rintanata con i suoi simili nel Tartaro. Nemmeno per Giapeto, suo alleato, egli provò rispetto o compassione, condannando il figlio di questi, Atlante, a reggere sulle sue spalle la volta del cielo per l'eternità, generando così l'omonima catena montuosa africana. Crono venne infine costretto all'esilio, cancellando la sua memoria dalle menti dei viventi.
La guerra però non era finita per Zeus, che vide subito il sorgere di un potente nemico mandato dagli stessi titani ed antico quanto loro: Tifone.
Tifone non era un essere particolarmente affettivo. Infatti, egli veniva rappresentato come un guazzabuglio di bestie, il che fa pensare che anche il suo intelletto non fosse lontano dalla semplicità animale. Essendo però figlio di esseri senzienti e peraltro immortali, egli possedeva una delle caratteristiche peggiori di divinità e uomini, ovvero l'ingordigia di potere. A lui infatti fu promesso il trono di signore del mondo se avesse sconfitto Zeus, motivo per il quale egli decide, da solo, di entrare in battaglia. Il suo urlo e la sua forza erano talmente terribili che gli Olimpici, nuovo nome dei figli di Crono per l'ubicazione della loro nuova cittadella, fuggirono impauriti sotto spoglie animali in Egitto. Zeus fu addirittura catturato ed imprigionato da Tifone in Cilicia, ma questi fu liberato con aiuto di ninfe ed altri essere antichi, giungendo così a sconfiggere l'ultimo titano imprigionandolo sotto l'Etna.
Con la sua vittoria su Tifone, Zeus divenne il terzo signore del mondo, dopo Urano e Crono, ma il modo in cui lui era riuscito a conquistare tutto ciò non era molto diverso da come ci era riuscito suo padre prima di lui, facendo d'egli stesso un traditore. Infatti, Zeus dopo la guerra, come già esplicato, imprigionò tutti i Titani, Gea compresa, nel Tartaro, ma non solo: con la sua guerra egoistica aveva praticamente distrutto il mondo intero, in quanto la battaglia non solo era stata molto violenta, ma era durata ben dieci grandi anni, ovvero il tempo di un'intera precessione degli equinozi: 25.000 anni umani. Facendo ciò, egli non solo aveva punito il proprio padre, ma addirittura la Madre delle Madri, la grande Gea, dilaniandole il corpo e massacrandone i figli. Questo fece dunque di Zeus il traditore per eccellenza, il quale non sarebbe dunque fuggito a lungo dal giudizio delle Erinni, le quali giudicarono Crono con la loro profezia prima di lui.
Prima di narrare come e se Zeus sarebbe mai stato punito per le sue colpe, è bene fermarci e riflettere su coloro che lo seguirono e nacquero dal suo sangue.
L'esempio di Crono calza a pennello in questo caso: egli divora i figli, divenendo la personificazione del tempo tiranno, solamente perché teme che uno di loro lo detronizzi così come gli è stato profetizzato dai genitori. Se invece tale profezia non fosse giunta al suo orecchio, cosa sarebbe accaduto?
Tornando a noi ed al nostro Zeus, vediamo come il Signore del Tuono fu salvato da Rea e da Gea, la quale quest'ultima divenne sua principale precettrice, anche se, ripetiamo, molte sono le tesi su chi accudì il prossimo Padre degli Dei, non meno accreditata quella riguardante la ninfa Amaltea.
L'ambiente nel quale Zeus crebbe è forse quello più pessimo per quanto riguarda l'educazione di un infante. Infatti, a lui mai fu nascosta la verità sul suo passato, descrivendogli come il suo stesso padre fosse un bruto paranoico e nocivo per qualsiasi essere vivente, in particolare i suoi famigliari. Inutile dire che ciò generò in lui una rabbia repressa fin dai suoi primi respiri, il che lo portò, una volta adulto a giurare vendetta, sebbene nè Gea, nè gli altri Titani, Rea compresa, compresero se fosse di natura altruistica o meramente egoistica.
Fiero e prestante, il giovane Zeus lasciò la sua caverna ancora giovane, ma decisamente maturato dalla sua esperienza di rancore ed odio nutrito verso Crono. Egli non attese molto prima di sfidare il suo sesso padre, il quale si fece ingannare dal figlio e dalla zia di questi Temi, la quale gli fornì una piccola dose di veleno o emetico, il che gli fece vomitare tutti i suoi figli, ancora vivi ovviamente perché immortali, nonché la stessa pietra trangugiata con l'inganno, la quale divenne una vera e propria reliquia posta all'interno del Tempio dell'Oracolo di Delfi.
Circondato da figli vendicativi e parenti infuriati nei suoi confronti, Crono poteva praticamente dichiararsi battuto e tanto bastava a Gea ed al suo sposo Urano, già pronti ad incoronare Zeus come nuovo signore degli immortali. Ciò però non bastava allo stesso Dio del Tuono, il quale nella sua mente aveva già ordito un piano che in breve tempo avrebbe inorridito i suoi stessi precettori.
Egli infatti, dopo aver liberato i suoi fratelli, discese nel Tartaro e spezzò le catene degli Ecantochiri, stringendo un patto con il più prominente tra loro, il possente Briareo dalle cinquante teste e cento braccia. Fece altrettanto con i Ciclopi, i quali felici di essere stati liberati dichiararono lealtà a Zeus, donandogli tra l'altro la fulgore ed il tuono loro creazioni.
Zeus dichiarò guerra ai Titani, Gea compresa, la quale però non entrò in battaglia ed anzi diede diversi consigli al nipote per vincere. Dove da una parte vi erano le antiche divinità primordiali, le quali si accamparono sul monte Otri, dall'altra vi erano i figli di Crono, uniti ai Ciclopi, ai Giganti ed agli Ecantochiri, più due titani che avevano deciso diallearsi con Zeus ed i suoi, ovvero Prometeo e suo padre Giapeto, riniti tutti sul monte Olimpo, al tempo una semplice vetta della Tessaglia.
La guerra, la quale in seguito avrebbe preso il nome di Titanomachia, ovvero la sconfitta dei Titani, durò per ben dieci anni. Per tutta la decade però nessuno riuscì mai a primeggiare, tanto che sia Gea, sia Zeus cominciarono a comprendere come tale battaglia non avrebbe mai trovato fine. Fu solo grazie all'intervento di Briareo ed i suoi fratelli, ovvero gli Ecantochiri, che con le loro cento braccia affossarono i Titani di massi e dardi, che la guerra trovò finalmente il suo termine.
Zeus non ebbe pietà per nessuno. Infatti, la sua stessa, forse mai amata, educatrice, Gea, fu rintanata con i suoi simili nel Tartaro. Nemmeno per Giapeto, suo alleato, egli provò rispetto o compassione, condannando il figlio di questi, Atlante, a reggere sulle sue spalle la volta del cielo per l'eternità, generando così l'omonima catena montuosa africana. Crono venne infine costretto all'esilio, cancellando la sua memoria dalle menti dei viventi.
La guerra però non era finita per Zeus, che vide subito il sorgere di un potente nemico mandato dagli stessi titani ed antico quanto loro: Tifone.
Tifone non era un essere particolarmente affettivo. Infatti, egli veniva rappresentato come un guazzabuglio di bestie, il che fa pensare che anche il suo intelletto non fosse lontano dalla semplicità animale. Essendo però figlio di esseri senzienti e peraltro immortali, egli possedeva una delle caratteristiche peggiori di divinità e uomini, ovvero l'ingordigia di potere. A lui infatti fu promesso il trono di signore del mondo se avesse sconfitto Zeus, motivo per il quale egli decide, da solo, di entrare in battaglia. Il suo urlo e la sua forza erano talmente terribili che gli Olimpici, nuovo nome dei figli di Crono per l'ubicazione della loro nuova cittadella, fuggirono impauriti sotto spoglie animali in Egitto. Zeus fu addirittura catturato ed imprigionato da Tifone in Cilicia, ma questi fu liberato con aiuto di ninfe ed altri essere antichi, giungendo così a sconfiggere l'ultimo titano imprigionandolo sotto l'Etna.
Con la sua vittoria su Tifone, Zeus divenne il terzo signore del mondo, dopo Urano e Crono, ma il modo in cui lui era riuscito a conquistare tutto ciò non era molto diverso da come ci era riuscito suo padre prima di lui, facendo d'egli stesso un traditore. Infatti, Zeus dopo la guerra, come già esplicato, imprigionò tutti i Titani, Gea compresa, nel Tartaro, ma non solo: con la sua guerra egoistica aveva praticamente distrutto il mondo intero, in quanto la battaglia non solo era stata molto violenta, ma era durata ben dieci grandi anni, ovvero il tempo di un'intera precessione degli equinozi: 25.000 anni umani. Facendo ciò, egli non solo aveva punito il proprio padre, ma addirittura la Madre delle Madri, la grande Gea, dilaniandole il corpo e massacrandone i figli. Questo fece dunque di Zeus il traditore per eccellenza, il quale non sarebbe dunque fuggito a lungo dal giudizio delle Erinni, le quali giudicarono Crono con la loro profezia prima di lui.
Prima di narrare come e se Zeus sarebbe mai stato punito per le sue colpe, è bene fermarci e riflettere su coloro che lo seguirono e nacquero dal suo sangue.
La stirpe del traditore - Cosmogonia Parte V
Divenuto il Re del Creato di fianco alla Madre Terra, Urano comandava ed educava i suoi figli con severità e superbia, credendo di essere incontrastabile. Innamorato solo di sé stesso, oltre agli Ecantochiri egli spedì tutti i suoi figli nelle profondità del Tartaro. In realtà, la versione più rinomata della comsogonia greca, vede come Urano tentò persino di impedirne la nascita a causa della lor mostruosità. Ciò portò la sua sposa e madra a dubitare di lui ed a nutrire vendetta.
Gea, infatti, costruì una falce dentata e chiese ai suoi figli di ribellarsi al padre. L'unico che ebbe il coraggio necessario a farlo fu però il solo Crono, il quale, durante la notte, attese che Urano si posasse ancora una volta su sua madre, per poi uscire dalle tenebre ed evirarlo.
In una società come quella micenea, di stampo indoeuropea, il simbolo del fallo era ovviamente collegato alla virilità e quindi al comando. Il fatto che Urano venisse evirato nei loro miti denota dunque una vera e propria detronizzazione. Termini come "scettro del potere" nascono proprio da questa connotazione fallica, vedendo nel membro maschile lo strumento simbolico del potere degli antichi popoli post minoici.
I genitali di Urano, strappati con la forza da Crono, furono gettati sulla superficie del mondo, dove, ancora sprizzanti del loro seme, diedero vita a diverse creature. Tra di esse ritroviamo i Giganti, Alcione, Porfirio ed Encelado, guerrieri provetti dotati di corazze di bronzo e lance lunghissime; le Erinni, i cui nomi erano Tisifone, Aletto e Megera, note anche come Furie e personificazioni del rimorso, guardiane dei legami e dei patti, in particolare quelli famigliari, punitrici dei traditori.
Ben più gaia è invece la terza creatura del seme perso da Urano, ovvero la stupenda Afrodite, nata dalla spuma di mare generata dallo sperma del signore del cielo.
Dall'evirazione del padre avvenuta per sua stessa mano, Crono divenne così il nuovo signore dei Titani, prendendo poi in sposa la sorella Rea. Quando il suo regno iniziò, la madre Gea ed il padre Urano, anche se alcuni dicono furono le Moire, lo avvertirono che il medesimo destino al quale aveva condannato il suo stesso padre, sarebbe ricaduto su lui stesso, ovvero l'essere detronizzato da uno dei suoi figli. Quando Crono fu messo al corrente di ciò, Rea era già incinta, ma quando il suo primo figlio nacque, spaventato dall'avvertimento dei genitori, Crono decise di ingurgitarlo, al fine che la profezia non potesse avverarsi. Medesima fine fecero poi tutti gli altri figli geniti dal ventre di Rea, cosicché Hestia signora del focolare, Ades, re dell'oltretomba, Demetra patrona dell'agricoltura, Poseidone imperatore dei mari ed Hera protettrice del matrimonio giacquero già in tenera età nel ventre del proprio padre.
Visti i suoi figli sopperire alla paura del loro stesso padre, Rea disgraziatamente rimase ancora una volta incinta, ma troppo sofferente per vedere l'enneimo frutto del suo ventre divorato dallo sposo, ella corsa alla corte di Gea, sua madre, chiedendole aiuto. Allora, su consiglio della Madre Terra, Rea, partorì il suo ultimo figlio, Zeus, sull'isola di Creta, dove Gea lo sotrasse immediatamente alle sue mani per nasconderlo in una caverna dove lo avrebbe educato personalmente (anche se molte fonti citano ninfe o capre come precettrici del padre degli dei).
A Crono, invece dell'infante furono date da divorare delle pietre ricoperte da un fascio, al fine che egli non ntasse alcuna differenza.
Rinchiuso in quella caverna angusta, Zeus fu cresciuta dalla Madre di sua Madre, educato al fine che un giorno si sarebbe vendicato del padre ed avrebbe dato seguito alla profezia.
Gea, infatti, costruì una falce dentata e chiese ai suoi figli di ribellarsi al padre. L'unico che ebbe il coraggio necessario a farlo fu però il solo Crono, il quale, durante la notte, attese che Urano si posasse ancora una volta su sua madre, per poi uscire dalle tenebre ed evirarlo.
In una società come quella micenea, di stampo indoeuropea, il simbolo del fallo era ovviamente collegato alla virilità e quindi al comando. Il fatto che Urano venisse evirato nei loro miti denota dunque una vera e propria detronizzazione. Termini come "scettro del potere" nascono proprio da questa connotazione fallica, vedendo nel membro maschile lo strumento simbolico del potere degli antichi popoli post minoici.
I genitali di Urano, strappati con la forza da Crono, furono gettati sulla superficie del mondo, dove, ancora sprizzanti del loro seme, diedero vita a diverse creature. Tra di esse ritroviamo i Giganti, Alcione, Porfirio ed Encelado, guerrieri provetti dotati di corazze di bronzo e lance lunghissime; le Erinni, i cui nomi erano Tisifone, Aletto e Megera, note anche come Furie e personificazioni del rimorso, guardiane dei legami e dei patti, in particolare quelli famigliari, punitrici dei traditori.
Ben più gaia è invece la terza creatura del seme perso da Urano, ovvero la stupenda Afrodite, nata dalla spuma di mare generata dallo sperma del signore del cielo.
Dall'evirazione del padre avvenuta per sua stessa mano, Crono divenne così il nuovo signore dei Titani, prendendo poi in sposa la sorella Rea. Quando il suo regno iniziò, la madre Gea ed il padre Urano, anche se alcuni dicono furono le Moire, lo avvertirono che il medesimo destino al quale aveva condannato il suo stesso padre, sarebbe ricaduto su lui stesso, ovvero l'essere detronizzato da uno dei suoi figli. Quando Crono fu messo al corrente di ciò, Rea era già incinta, ma quando il suo primo figlio nacque, spaventato dall'avvertimento dei genitori, Crono decise di ingurgitarlo, al fine che la profezia non potesse avverarsi. Medesima fine fecero poi tutti gli altri figli geniti dal ventre di Rea, cosicché Hestia signora del focolare, Ades, re dell'oltretomba, Demetra patrona dell'agricoltura, Poseidone imperatore dei mari ed Hera protettrice del matrimonio giacquero già in tenera età nel ventre del proprio padre.
Visti i suoi figli sopperire alla paura del loro stesso padre, Rea disgraziatamente rimase ancora una volta incinta, ma troppo sofferente per vedere l'enneimo frutto del suo ventre divorato dallo sposo, ella corsa alla corte di Gea, sua madre, chiedendole aiuto. Allora, su consiglio della Madre Terra, Rea, partorì il suo ultimo figlio, Zeus, sull'isola di Creta, dove Gea lo sotrasse immediatamente alle sue mani per nasconderlo in una caverna dove lo avrebbe educato personalmente (anche se molte fonti citano ninfe o capre come precettrici del padre degli dei).
A Crono, invece dell'infante furono date da divorare delle pietre ricoperte da un fascio, al fine che egli non ntasse alcuna differenza.
Rinchiuso in quella caverna angusta, Zeus fu cresciuta dalla Madre di sua Madre, educato al fine che un giorno si sarebbe vendicato del padre ed avrebbe dato seguito alla profezia.
Sposa del Cielo - Cosmogonia Parte IV
Come già detto nella precedente pubblicazione, Gea, Madre di ogni cosa, si unì ai suoi due figli principali, Ponto, la cui genealogia è stata già descritta, ma soprattutto Urano, con il quale la Madre Terra diede vita al mondo come oggi lo conosciamo.
Rappresentante del Cielo, Urano ingravidò Gea facendo discendere su di lei una pioggia fertile, grazie alla quale ella partorì le famiglie di esseri mitici più famosi. Infatti, Gea ed Urano furono i genitori di esseri giganteschi, i quali si suddividevano in tre famiglie ben precise e protagoniste di numerosi racconti.
Tra essi ricordiamo i temibili Ciclopi, giganti che al centro della loro fronte portavano un unico singolo occhio e che erano a conoscenza di importanti capacità metallurgiche, tanto che leggenda vuole come essi furono i maestri dello stesso Efesto. Tra le loro opere inoltre ricordiamo il tuono e la folgore. Il più famoso tra i ciclopi è ovviamente Polifemo, il quale fu accecato da Ulisse grazie ad un inganno dello stesso Re di Itaca, durante la tanto famosa Odissea citata da Omero.
Oltre ai Ciclopi poi, Gea ed Urano diedero vita ad altri giganti, questa volta dotati di classica vista binoculare, ma proprietari tra l'altro di ben centomani, per questo essi furono infatti conosciuti come Ecantochiri, ovvero Giganti Centimani, molto importanti durante la battaglia Titani-Olimpici nota come Titanomachia.
All'occhio di Urano però gli Ecantochiri erano tutto fuorché figli amati. Inorridito dal loro aspetto e dalla loro forza, egli decise di cacciarli al di sotto della Terra, nelle profondità chiamate Tartaro, al fine che il suo sguardo non si posasse mai più su di loro. Tre erano i centimani, dotati di un'estrema arroganza, ed i loro nomi sono oggi ricordati come: Briareo, Cotto e Gia.
Infine ricordiamo i più importanti figli del duo Terra-Cielo, ovvero i Titani. Alquanto numerosi, tra di essi si formarono successivamente coppie che perpetrarono l'albero teogonico, ma che soprattutto furono protagoniste di battaglie, intrighi e tradimenti ricordati nei secoli dei secoli.
Tra i Titani venivano elencati tali nomi: Mnemosine, la personificazione della memoria; Temi, ovvero la giustizia; Oceano e Teti, genitori dei fiumi e delle ninfe Oceanine; Iperione e Teia, creatori del Sole, dell'Aurora e della Luna, ovvero Helios, Eos e Selene; Crio; Ceo e Febe, coloro che diedero vita a Leto, notte buia, ed Asteria, cioè il firmamento; Giapeto, padre dell'eroico e luciferico Prometeo, nonché di Epimeteo e di Atlante, colui che regge il peso del mondo.
La lista dei figli di Gea ed Urano però non finisce qui. Manca infatti una coppia all'appello, la più importante, perché dalla loro successiva unione sarebbe nata la stirpe olimpica, la quale diede appunto i natali a Zeus ed i suoi fratelli. Ma di ciò ne parleremo nella prossima pubblicazione.
Rappresentante del Cielo, Urano ingravidò Gea facendo discendere su di lei una pioggia fertile, grazie alla quale ella partorì le famiglie di esseri mitici più famosi. Infatti, Gea ed Urano furono i genitori di esseri giganteschi, i quali si suddividevano in tre famiglie ben precise e protagoniste di numerosi racconti.
Tra essi ricordiamo i temibili Ciclopi, giganti che al centro della loro fronte portavano un unico singolo occhio e che erano a conoscenza di importanti capacità metallurgiche, tanto che leggenda vuole come essi furono i maestri dello stesso Efesto. Tra le loro opere inoltre ricordiamo il tuono e la folgore. Il più famoso tra i ciclopi è ovviamente Polifemo, il quale fu accecato da Ulisse grazie ad un inganno dello stesso Re di Itaca, durante la tanto famosa Odissea citata da Omero.
Oltre ai Ciclopi poi, Gea ed Urano diedero vita ad altri giganti, questa volta dotati di classica vista binoculare, ma proprietari tra l'altro di ben centomani, per questo essi furono infatti conosciuti come Ecantochiri, ovvero Giganti Centimani, molto importanti durante la battaglia Titani-Olimpici nota come Titanomachia.
All'occhio di Urano però gli Ecantochiri erano tutto fuorché figli amati. Inorridito dal loro aspetto e dalla loro forza, egli decise di cacciarli al di sotto della Terra, nelle profondità chiamate Tartaro, al fine che il suo sguardo non si posasse mai più su di loro. Tre erano i centimani, dotati di un'estrema arroganza, ed i loro nomi sono oggi ricordati come: Briareo, Cotto e Gia.
Infine ricordiamo i più importanti figli del duo Terra-Cielo, ovvero i Titani. Alquanto numerosi, tra di essi si formarono successivamente coppie che perpetrarono l'albero teogonico, ma che soprattutto furono protagoniste di battaglie, intrighi e tradimenti ricordati nei secoli dei secoli.
Tra i Titani venivano elencati tali nomi: Mnemosine, la personificazione della memoria; Temi, ovvero la giustizia; Oceano e Teti, genitori dei fiumi e delle ninfe Oceanine; Iperione e Teia, creatori del Sole, dell'Aurora e della Luna, ovvero Helios, Eos e Selene; Crio; Ceo e Febe, coloro che diedero vita a Leto, notte buia, ed Asteria, cioè il firmamento; Giapeto, padre dell'eroico e luciferico Prometeo, nonché di Epimeteo e di Atlante, colui che regge il peso del mondo.
La lista dei figli di Gea ed Urano però non finisce qui. Manca infatti una coppia all'appello, la più importante, perché dalla loro successiva unione sarebbe nata la stirpe olimpica, la quale diede appunto i natali a Zeus ed i suoi fratelli. Ma di ciò ne parleremo nella prossima pubblicazione.
Sposa del Mare - Cosmogonia parte III
Partendo dall'unione avvenuta con Ponto, che, ricordiamo, rappresenta i fondali oceanici, Gea portò nel proprio grembo ben cinque figli. Essi portano il nome di Forco, con il quale la stessa Gea generò il mostro Cariddi, Ceto, Proteo, Nereo, padre delle ninfe Nereidi, e Taumane, dal cui sangue nacque Iris, l'arcobaleno, e le temibili Arpie, esseri con volto di donna, ma dotati di un corpo d'avvoltoio.
Successivamente vennero le Graie, personificazione della vecchiaia, tre sorelle dotate di un unico occhio e di un unico dente che si passavano a vicenda nel momento del bisogno, le quali avevano il compito di sorvegliare il luogo dove vivevano le loro altre sorelle, ovvero le decisamente più famose Gorgoni.
Steno, Euriale e Medusa, così si chiamavano le tre sorelle Gorgoni, erano le rappresentanti della perversione, rispettivamente quella morale, quella sessuale e quella intellettuale. Erano immortali per diritto di nascita, tranne per il fatto di Medusa, di fatto mortale, eletta guardiana degli inferi da Persefone.
Le Gorgoni erano degli esseri terribili, dotate di ali d'oro, artigli di bronzo, zanne di cinghiale ed i famosissimo capelli di serpente, nonché la capacità di petrificare chiunque le avesse guardate dritte negli occhi.
La più famosa tra loro fu ovviamente Medusa, la quale fu uccisa e decapitata da Perseo il quale donò ad Atena la sua testa, la quale fu messa da quest'ultima sul proprio scudo per terrorizzare i nemici.
Ceto e Proteo generarono poi un'ultima figlia: Echidna, donna dal corpo di serpente, la quale fu uccisa da Argo dai cento occhi per fermare il suo costante genocidio di passanti, i quali al suo cospetto finivano divorati.
Echidna fu sposa mitica di Tifone che, come abbiamo visto, fu generato da Gea e Tartaro, e col quale diede vita ad una lunga stirpe di mostri famosi, tra i quali: l'Idra di Lerna, il Leone di Nemea, Ortro, Ladone, la Chimera con testa di leone, corpo di capra e coda di serpente, l'enigmatica Sfinge ed, infine, il cane a tre teste Cerbero, il quale fu preso da Ade come suo mastino a guardia che nessun defunto lasciasse più il suo regno.
Nati nell'oscurità - Cosmogonia Parte II
Quando il cosmo aveva oramai assunto il suo primo ordine, generato e sorretto dai Cinque Figli di Caos, anch'essi continuarono l'opera del loro creatore.
Suppura del potere di Eros, Notte generò in solitudine cinque entità. Esse portavano il nome di Momo, ovvero il sarcasmo, Eris, la discordia, Nemesi, giustizia divina più volte nominata anche semplicemente Vendetta, giungendo infine a partorie i due più famosi: Thanatos ed Hypnos, ovvero Morte e Sonno.
Ella però non dismise le sue gravidanze, cadendo infine nell'abbraccio dell'oscurità, di Erebo, che insieme a Notte generò Etere, la luce che in seguito fu madre di Talassa (il mare), Emera, il giorno, ed infine il famosissimo traghettare dei defunti, Caronte, che con le sue mani costruì Dite, la città dei morti nel cuore degli Inferi.
Si dice che figlie di Notte ed Erebo furono anche le terribili Moire, raffiugrazione del destino che nell'oscurità tendono tessono il filo della vita di ogni essere, Dio o Uomo non importa, lo tendono e lo tagliano. Talmente antichi e potenti erano questi tre esseri che nemmeno gli Dei potevano mutarne le decisioni.
Suppura del potere di Eros, Notte generò in solitudine cinque entità. Esse portavano il nome di Momo, ovvero il sarcasmo, Eris, la discordia, Nemesi, giustizia divina più volte nominata anche semplicemente Vendetta, giungendo infine a partorie i due più famosi: Thanatos ed Hypnos, ovvero Morte e Sonno.
Ella però non dismise le sue gravidanze, cadendo infine nell'abbraccio dell'oscurità, di Erebo, che insieme a Notte generò Etere, la luce che in seguito fu madre di Talassa (il mare), Emera, il giorno, ed infine il famosissimo traghettare dei defunti, Caronte, che con le sue mani costruì Dite, la città dei morti nel cuore degli Inferi.
Si dice che figlie di Notte ed Erebo furono anche le terribili Moire, raffiugrazione del destino che nell'oscurità tendono tessono il filo della vita di ogni essere, Dio o Uomo non importa, lo tendono e lo tagliano. Talmente antichi e potenti erano questi tre esseri che nemmeno gli Dei potevano mutarne le decisioni.
Successivamente o nel medesimo tempo, questo non ci è dato sapere, Gea portò avanti la sua genia, generando nel proprio ventre esseri di differenti forme. Ella infatti diede alla luce Ossa, ovvero la fama, Ponto, il cui corpo avrebbe formato i fondali oceanici, i due mostri terribili, Pitone ed Argo, e, in ultima, ma più importante istanza, al suo pari: Urano.
Gea in seguito si unì al fratello sulla quale ella giaceva, ovvero Tartaro e dalla loro unione nacque Tifone, un essere gigantesco, la cui forma rassomigliava a diverse belve, che un giorno avrebbe sfidato Zeus. In realtà, l'origine di Tifone non è chiara all'interno dei miti greci. Infatti, sebbene egli abbia delle fattezze chiaramente titaniche quanto mostruose, alcuni scritti denotano come egli nacque da Hera, ingravidatasi con lo sperma di suo padre Crono posto tra due uova, affinché il figlio che portava in grembo avesse un giorno distrutto Zeus. Secondo alcuni studiosi, però, tale storia potrebbe essere stata una mala interpretazione della nascita di Efesto, anch'esso nato dall'unione di Hera e Crono.
Figli del Caos - Cosmogonia Parte I
In principio era il Caos. Così comincia il racconto di Esiodo, superbo narratore della Teogonia Greca, il mito che di fatto racconta come Zeus, i suoi fratelli ed i suoi figli nacquero, crebbero e raggiunsero il potere divenendo le Divinità dell'Uomo.
Ma cos'era il Caos? Al giorno d'oggi con una simile parole noi descriviamo un assoluto disordine, ma in passato aveva un significato ben diverso, privo di qualsiasi accezione negativa. Infatti, con il termine Caos, gli antichi greci descrivevano l'indivisible e l'imperscrutabile, ovvero ciò che la semplice ragione umana non poteva comprendere. Potremmo così definirlo come un "ordine privo di logica".
Un giorno però, continua Esiodo, il Caos, da solo o in compagnia di Eurinome, la danza cosmica, secondo altri scrittori più recenti, partorì Gea (Gaia), nome con il quale fu identificata la Terra, Madre di ogni cosa, vivente e non vivente, senziete e puramente istintiva. Essa scaturì da questa voragine immensa e la colmò con la propria massa. Il Caos però non aveva ancora terminato di rimettere le proprie creazioni.
Ma cos'era il Caos? Al giorno d'oggi con una simile parole noi descriviamo un assoluto disordine, ma in passato aveva un significato ben diverso, privo di qualsiasi accezione negativa. Infatti, con il termine Caos, gli antichi greci descrivevano l'indivisible e l'imperscrutabile, ovvero ciò che la semplice ragione umana non poteva comprendere. Potremmo così definirlo come un "ordine privo di logica".
Un giorno però, continua Esiodo, il Caos, da solo o in compagnia di Eurinome, la danza cosmica, secondo altri scrittori più recenti, partorì Gea (Gaia), nome con il quale fu identificata la Terra, Madre di ogni cosa, vivente e non vivente, senziete e puramente istintiva. Essa scaturì da questa voragine immensa e la colmò con la propria massa. Il Caos però non aveva ancora terminato di rimettere le proprie creazioni.
Dopo Gea, infatti, nacque Tartaro, ovvero l'abisso, ciò che divora, trattiene ed imprigiona. Egli fu solo il primo dei fratelli della Madre Terra, i quali furono completati dall'arrivo di Erebo, l'oscurità o pura assenza di luce, e Notte, per i quali gli stessi Dei provarono timore. Ma colui che oltre a Gea sancì il vero potere perpetrato dal Caos fu Eros, la potenza creatrice della passione e dell'amore universale.
Costui viene erroneamente rappresentato ai giorni nostri come un putto dotato di ali ed armato di freccie con le quali fa innamorare i poveri mortali. Infatti, secondo versioni molto più tardi della Cosmogonia Greca, egli non fu altro che un figlio di Afrodite, dea dell'Amore, ma oramai gli storici sono certi nel dire come tale versione non fu altro che una trasposizione a favore dei culti olimpici.
Eros detiene un ruolo di tutto rispetto all'interno della Teogonia, in quanto, alla pari di Gea, la Madre di tutte le cose, egli è il motivo per cui l'universo ha una sua vitalità costante in divenire. In poche parole, se Gea è la sede della vita, Eros è la sua energia vitale infinita.
Così, dopo aver dato vita alle proprie creature, il Caos si richiuse o si assorbì, lasciando così i Cinque Fratelli ad ordinare il cosmo appena generato. Per espletare tale compito, Gea divenne la sede della vita, come già spiegato poco fa, Tartaro le fondamenta sulla quale esse si sdraiò, Notte il firmamento sopra il suo capo, costantemente corteggiata da Erebo, mentre Eros penetrò l'anima di Gea, dandole la possibilità di rimanere gravida e continuare così l'opera creatrice.
giovedì 31 luglio 2014
L'importanza del mito ai giorni nostri
Questo blog, nato meno di 24 ore fa, è stato creato per uno scopo ben preciso: far risorgere l'amore per il mito in epoca odierna.
Sebbene per molti la cosa possa non avere nemmeno un briciolo d'importanza, per l'autore, ovvero il sottoscritto, non è così anzi, è mio personale parere credere come gli antichi racconti appartenuti e generati dai nostri progenitori contengano una ricchezza fondamentale, in quanto suppuri di insegnamenti.
Che si tratti dell'epica ellenica o delle egsta narrate nell'Edda o, ancora, dei fatti avvenuti nell'Enuma Elish babilonese, la quale, ricordiamo, fu la fonte principale dalla quale i primi ebrei attinsero per creare la Bibbia, il più diffuso best seller della storia, non ha importanza. Da qualsiasi popolo siano stati perpetrati, i miti sono ricchezze in comune di tutta l'umanità che, se riportati alla luce nel quotidiano, potrebbero illuminare, sebbene anche con una singola scintilla, le vite di tutti noi.
Il mito infatti non è solo portatore di un messaggio, ma può essere anche una fonte storica, sebbene non concreta. Per quanto i fatti che vi sono narrati possono essere scambiati come mera fantasia, al loro interno vi sono allegorie e metafore in grado di spiegarci fatti reali, accaduti migliaia di anni fa.
Ricordiamoci infatti come Schliemann, scopritore della città di Troia, creduta semplicemente mitica per molto tempo, fu deriso quando annunciò di poter riportare alla luce il luogo dove Achille, Agamennone, Ettore ed Enea coesistettero. Medesimo destino toccò a Cnosso ed al tempio di Minosse.
Questo spazio è dunque un sentiero, una via attraverso la quale è possibile giungere in antichi luoghi, dove la sapienza fu nascosta. Lasciamoci dunque guidare dalla voce di Prometeo che, incatenato alla sua roccia, ha deciso di tornare ai suoi vecchi vizi, permettendo all'uomo di conquistare un'illuminazione vicina a quella divina.
Perdonatemi se in questo viaggio non solo narrerò ciò che fu già raccontato per secoli, ma vi aggiungerò anche fatti mai uditi e generati dalla mia stessa mano. Chissà che forse questi miti moderni un giorno non saranno anch'essi ricordati come fu per quelli di Omero.
Sebbene per molti la cosa possa non avere nemmeno un briciolo d'importanza, per l'autore, ovvero il sottoscritto, non è così anzi, è mio personale parere credere come gli antichi racconti appartenuti e generati dai nostri progenitori contengano una ricchezza fondamentale, in quanto suppuri di insegnamenti.
Che si tratti dell'epica ellenica o delle egsta narrate nell'Edda o, ancora, dei fatti avvenuti nell'Enuma Elish babilonese, la quale, ricordiamo, fu la fonte principale dalla quale i primi ebrei attinsero per creare la Bibbia, il più diffuso best seller della storia, non ha importanza. Da qualsiasi popolo siano stati perpetrati, i miti sono ricchezze in comune di tutta l'umanità che, se riportati alla luce nel quotidiano, potrebbero illuminare, sebbene anche con una singola scintilla, le vite di tutti noi.
Il mito infatti non è solo portatore di un messaggio, ma può essere anche una fonte storica, sebbene non concreta. Per quanto i fatti che vi sono narrati possono essere scambiati come mera fantasia, al loro interno vi sono allegorie e metafore in grado di spiegarci fatti reali, accaduti migliaia di anni fa.
Ricordiamoci infatti come Schliemann, scopritore della città di Troia, creduta semplicemente mitica per molto tempo, fu deriso quando annunciò di poter riportare alla luce il luogo dove Achille, Agamennone, Ettore ed Enea coesistettero. Medesimo destino toccò a Cnosso ed al tempio di Minosse.
Questo spazio è dunque un sentiero, una via attraverso la quale è possibile giungere in antichi luoghi, dove la sapienza fu nascosta. Lasciamoci dunque guidare dalla voce di Prometeo che, incatenato alla sua roccia, ha deciso di tornare ai suoi vecchi vizi, permettendo all'uomo di conquistare un'illuminazione vicina a quella divina.
Perdonatemi se in questo viaggio non solo narrerò ciò che fu già raccontato per secoli, ma vi aggiungerò anche fatti mai uditi e generati dalla mia stessa mano. Chissà che forse questi miti moderni un giorno non saranno anch'essi ricordati come fu per quelli di Omero.
mercoledì 30 luglio 2014
Alla ricerca del Giardino
Vi era un luogo nell'estremo occidente, una terra dove l'uomo non aveva il permesso di mettere piede e nemmeno le Divinità vi si addentravano a cuor leggero. Al di là del mondo conosciuto, questo luogo d'infinita bellezza divenne il mausoleo di un Albero antico, in grado di donare come suoi frutti degli stupendi Pomi d'Oro, il quale fu donato a Zeus dalla madre di suo padre, Gea, per l'occasione delle sue nozze con Hera.
Tanto importanti erano considerati quei frutti che la regina dell'Olimpo ordinò alle Esperidi, esseri figlie del primordiale titano Notte il cui numero non fu mai conosciuto, di vegliare su di essi. ma Hera era troppo gelosa di quei magnifici pomi, così, temendo che le stesse Esperidi potessero usufruirne, prese il drago Ladone, un mostro d'immensa forza, e lo attorcigliò con le sue spire attorno al tronco dell'albero.
Si dice che solo pochi riuscirono ad avere i pomi nelle proprie grinfie, tra i quali ricordiamo i cavalli della Biga del titano Elios, portatore del Sole, i quali al tramonto, esausti, si riposavano proprio nel giardino sorvegliato dalle Esperidi. Il più importante però fu il semidio Eracle, ennesimo figlio illegittimo del padre degli Dei, Zeus, i quali riuscì a rubarne alcuni in una delle sue famose fatiche.
Dopo secoli e millenni nei quali il Giardino delle Esperidi finì nelle fauci dello spietato oblio, oggi noi ne abbiamo riscoperto i sentieri, riaperto le porte e gustato la visione dei suoi frutti. Mai nessuna cornucopia ha avuto il privilegio di contenere uno solo di questi pomi fatati, nel cui succo risiedono antiche storie, legate a terre e popoli diversi, il cui ricordo non dovrà mai andare perduto.
Cogliendone uno alla volta, noi pochi fortunati assaporeremo così il coraggio di Prometeo, la saggezza di Odino, l'ingegno di Enki e molto, molto altro ancora, perché questo luogo che le Esperidi hanno conservato e su cui hanno vegliato dall'alba dei tempi è il lascito all'umanità, dove ciò che è accaduto, ciò che è e ciò che succederà mai verrà perduto.
Benvenuti nel Giardino delle Esperidi.
Tanto importanti erano considerati quei frutti che la regina dell'Olimpo ordinò alle Esperidi, esseri figlie del primordiale titano Notte il cui numero non fu mai conosciuto, di vegliare su di essi. ma Hera era troppo gelosa di quei magnifici pomi, così, temendo che le stesse Esperidi potessero usufruirne, prese il drago Ladone, un mostro d'immensa forza, e lo attorcigliò con le sue spire attorno al tronco dell'albero.
Si dice che solo pochi riuscirono ad avere i pomi nelle proprie grinfie, tra i quali ricordiamo i cavalli della Biga del titano Elios, portatore del Sole, i quali al tramonto, esausti, si riposavano proprio nel giardino sorvegliato dalle Esperidi. Il più importante però fu il semidio Eracle, ennesimo figlio illegittimo del padre degli Dei, Zeus, i quali riuscì a rubarne alcuni in una delle sue famose fatiche.
Dopo secoli e millenni nei quali il Giardino delle Esperidi finì nelle fauci dello spietato oblio, oggi noi ne abbiamo riscoperto i sentieri, riaperto le porte e gustato la visione dei suoi frutti. Mai nessuna cornucopia ha avuto il privilegio di contenere uno solo di questi pomi fatati, nel cui succo risiedono antiche storie, legate a terre e popoli diversi, il cui ricordo non dovrà mai andare perduto.
Cogliendone uno alla volta, noi pochi fortunati assaporeremo così il coraggio di Prometeo, la saggezza di Odino, l'ingegno di Enki e molto, molto altro ancora, perché questo luogo che le Esperidi hanno conservato e su cui hanno vegliato dall'alba dei tempi è il lascito all'umanità, dove ciò che è accaduto, ciò che è e ciò che succederà mai verrà perduto.
Benvenuti nel Giardino delle Esperidi.
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