L'esempio di Crono calza a pennello in questo caso: egli divora i figli, divenendo la personificazione del tempo tiranno, solamente perché teme che uno di loro lo detronizzi così come gli è stato profetizzato dai genitori. Se invece tale profezia non fosse giunta al suo orecchio, cosa sarebbe accaduto?
Tornando a noi ed al nostro Zeus, vediamo come il Signore del Tuono fu salvato da Rea e da Gea, la quale quest'ultima divenne sua principale precettrice, anche se, ripetiamo, molte sono le tesi su chi accudì il prossimo Padre degli Dei, non meno accreditata quella riguardante la ninfa Amaltea.
L'ambiente nel quale Zeus crebbe è forse quello più pessimo per quanto riguarda l'educazione di un infante. Infatti, a lui mai fu nascosta la verità sul suo passato, descrivendogli come il suo stesso padre fosse un bruto paranoico e nocivo per qualsiasi essere vivente, in particolare i suoi famigliari. Inutile dire che ciò generò in lui una rabbia repressa fin dai suoi primi respiri, il che lo portò, una volta adulto a giurare vendetta, sebbene nè Gea, nè gli altri Titani, Rea compresa, compresero se fosse di natura altruistica o meramente egoistica.
Fiero e prestante, il giovane Zeus lasciò la sua caverna ancora giovane, ma decisamente maturato dalla sua esperienza di rancore ed odio nutrito verso Crono. Egli non attese molto prima di sfidare il suo sesso padre, il quale si fece ingannare dal figlio e dalla zia di questi Temi, la quale gli fornì una piccola dose di veleno o emetico, il che gli fece vomitare tutti i suoi figli, ancora vivi ovviamente perché immortali, nonché la stessa pietra trangugiata con l'inganno, la quale divenne una vera e propria reliquia posta all'interno del Tempio dell'Oracolo di Delfi.
Circondato da figli vendicativi e parenti infuriati nei suoi confronti, Crono poteva praticamente dichiararsi battuto e tanto bastava a Gea ed al suo sposo Urano, già pronti ad incoronare Zeus come nuovo signore degli immortali. Ciò però non bastava allo stesso Dio del Tuono, il quale nella sua mente aveva già ordito un piano che in breve tempo avrebbe inorridito i suoi stessi precettori.
Egli infatti, dopo aver liberato i suoi fratelli, discese nel Tartaro e spezzò le catene degli Ecantochiri, stringendo un patto con il più prominente tra loro, il possente Briareo dalle cinquante teste e cento braccia. Fece altrettanto con i Ciclopi, i quali felici di essere stati liberati dichiararono lealtà a Zeus, donandogli tra l'altro la fulgore ed il tuono loro creazioni.
Zeus dichiarò guerra ai Titani, Gea compresa, la quale però non entrò in battaglia ed anzi diede diversi consigli al nipote per vincere. Dove da una parte vi erano le antiche divinità primordiali, le quali si accamparono sul monte Otri, dall'altra vi erano i figli di Crono, uniti ai Ciclopi, ai Giganti ed agli Ecantochiri, più due titani che avevano deciso diallearsi con Zeus ed i suoi, ovvero Prometeo e suo padre Giapeto, riniti tutti sul monte Olimpo, al tempo una semplice vetta della Tessaglia.
La guerra, la quale in seguito avrebbe preso il nome di Titanomachia, ovvero la sconfitta dei Titani, durò per ben dieci anni. Per tutta la decade però nessuno riuscì mai a primeggiare, tanto che sia Gea, sia Zeus cominciarono a comprendere come tale battaglia non avrebbe mai trovato fine. Fu solo grazie all'intervento di Briareo ed i suoi fratelli, ovvero gli Ecantochiri, che con le loro cento braccia affossarono i Titani di massi e dardi, che la guerra trovò finalmente il suo termine.
Zeus non ebbe pietà per nessuno. Infatti, la sua stessa, forse mai amata, educatrice, Gea, fu rintanata con i suoi simili nel Tartaro. Nemmeno per Giapeto, suo alleato, egli provò rispetto o compassione, condannando il figlio di questi, Atlante, a reggere sulle sue spalle la volta del cielo per l'eternità, generando così l'omonima catena montuosa africana. Crono venne infine costretto all'esilio, cancellando la sua memoria dalle menti dei viventi.
La guerra però non era finita per Zeus, che vide subito il sorgere di un potente nemico mandato dagli stessi titani ed antico quanto loro: Tifone.
Tifone non era un essere particolarmente affettivo. Infatti, egli veniva rappresentato come un guazzabuglio di bestie, il che fa pensare che anche il suo intelletto non fosse lontano dalla semplicità animale. Essendo però figlio di esseri senzienti e peraltro immortali, egli possedeva una delle caratteristiche peggiori di divinità e uomini, ovvero l'ingordigia di potere. A lui infatti fu promesso il trono di signore del mondo se avesse sconfitto Zeus, motivo per il quale egli decide, da solo, di entrare in battaglia. Il suo urlo e la sua forza erano talmente terribili che gli Olimpici, nuovo nome dei figli di Crono per l'ubicazione della loro nuova cittadella, fuggirono impauriti sotto spoglie animali in Egitto. Zeus fu addirittura catturato ed imprigionato da Tifone in Cilicia, ma questi fu liberato con aiuto di ninfe ed altri essere antichi, giungendo così a sconfiggere l'ultimo titano imprigionandolo sotto l'Etna.
Con la sua vittoria su Tifone, Zeus divenne il terzo signore del mondo, dopo Urano e Crono, ma il modo in cui lui era riuscito a conquistare tutto ciò non era molto diverso da come ci era riuscito suo padre prima di lui, facendo d'egli stesso un traditore. Infatti, Zeus dopo la guerra, come già esplicato, imprigionò tutti i Titani, Gea compresa, nel Tartaro, ma non solo: con la sua guerra egoistica aveva praticamente distrutto il mondo intero, in quanto la battaglia non solo era stata molto violenta, ma era durata ben dieci grandi anni, ovvero il tempo di un'intera precessione degli equinozi: 25.000 anni umani. Facendo ciò, egli non solo aveva punito il proprio padre, ma addirittura la Madre delle Madri, la grande Gea, dilaniandole il corpo e massacrandone i figli. Questo fece dunque di Zeus il traditore per eccellenza, il quale non sarebbe dunque fuggito a lungo dal giudizio delle Erinni, le quali giudicarono Crono con la loro profezia prima di lui.
Prima di narrare come e se Zeus sarebbe mai stato punito per le sue colpe, è bene fermarci e riflettere su coloro che lo seguirono e nacquero dal suo sangue.
Nessun commento:
Posta un commento